»LIMONOW«


von
Emmanuel Carrère



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Eduard Limonov: Io, l'intellettuale bolscevico, che odia Putin e Gorbaciov

Scrittore irregolare, nazionalista radicale e nostalgico del regime. Disprezza i borghesi in rivolta, ma finisce regolarmente in carcere. Un libro di Carrère lo ha reso famoso. Siamo andati a vederlo da vicino.

Ma con chi stiamo parlando? Che tipo è quest'omino piccolo e magro con la barbetta alla Trotskij che continua a fissare il pavimento di linoleum e le verdastre pareti spoglie di una casa di periferia? Leggendo la storia della sua vita, ricostruita con qualche pennellata romanzesca da Emmanuel Carrère (Limonov, Adelphi), ci aspettavamo un eroe romantico e contraddittorio, una canaglia sfrontata e senza limitazioni piccolo borghesi, uno scrittore maledetto, un po' sognatore rivoluzionario e un po' fanatico nazi fascista. Ed Eduard Limonov deve essere più o meno fatto veramente così. Solo che non si vede. Sarebbe troppo facile. Stupire, spiazzare gli interlocutori, è la prima regola per un personaggio del suo stampo.

Per questo si diverte a offrirci una versione dimessa ed eccessivamente senile per i suoi 69 anni. Guarda compiaciuto il libro fresco di stampa con l'aria finto umile del vecchietto che non credeva di meritare tanta notorietà. E ci concede perfino un banale sguardo nostalgico dei bei tempi andati tastando affettuosamente la copertina che lo ritrae giovane e spudorato da qualche parte degli Stati Uniti anni Settanta con un cappotto tutto alamari e spalline dell'Armata Rossa che fu. «Certo che diventare un mito dà un certo piacere. Ma un libro è un libro. C'è del vero e c'è del falso. Lasciamo perdere i dettagli».

Avvertimento preciso. In questa chiacchierata non si parlerà di sesso. Nessun commento sugli episodi più scabrosi: lui che sodomizza la sua donna davanti alla tv che trasmette un discorso di Solgenitsyn; il suo concedersi a un giovane nero dietro a un cespuglio di Central Park; le sue avventure con partner di ogni genere e sesso; le sei mogli amate e perdute nel tempo, compresa la tenera sedicenne sposata quando lui aveva già superato i 55. «Perché contraddire o fare precisazioni su Carrère? Mi ha reso famoso. Va bene così».

— Tutto bene tranne una cosa. La definizione che di Limonov ha dato lo scrittore francese: «Un genio con una vita di merda.

— Vita di merda lo dice lui. Io sono felice di quello che ho visto e che ho fatto. Quando sono nato, in un paesino sovietico di poveri operai ucraini, non avevo alcuna chance. Sarei morto di vodka e disperazione lavorando in qualche fabbrica.

— E invece, una lunga cavalcata sempre controcorrente. I circoli letterari di Mosca, i primi romanzi, la fuga in America e la scoperta che quello non era proprio un mondo ideale.

— Mai avuta tanta simpatia per l'America e per il suo stile di vita. Avessi potuto scegliere sarei andato in Italia, o comunque in Europa. Anche in America mi ritrovai a contestare il sistema. D'altra parte i miei riferimenti, i miei amici, erano tutti legati alla sinistra europea. Che allora era più antiamericana dell'Urss.

— E insieme alla insofferenza per il capitalismo americano venne fuori l'avversione per una vasta categoria di dissidenti sovietici che lì avevano trovato denaro e successo.

— Ho parlato spesso molto male di Brodskij. Ho i miei motivi. È stato un buon poeta, ma sopravvalutato. La sua fama mondiale non è dovuta al suo talento ma alle sue capacità imprenditoriali.

— Lei invece?

— Non riuscii a pubblicare neanche una mia opera. Non ero bravo come Brodskij a lavorarmi editori e mass media.

— Se è per questo ha parlato malissimo anche dell'altra icona dei dissidenti dell'epoca Aleksandr Solgenitsyn.

— Sì, è vero. In quegli anni non potevo soffrire i dissidenti di mestiere come Solgenitsyn e Andrej Sakharov. Li consideravo falsi, costruiti. Adesso però riconosco la loro grandezza.

— Limonov pentito?

— Non esageriamo. Ammetto che la loro influenza è stata utile. E mi fanno pena per quello che hanno lasciato. Solo macerie. Solgenitsyn, che vagheggiava l'unione panslava di Russia, Ucraina e Bielorussia, ha visto morire i suoi sogni già nel '91. Mi mette tristezza pensare ad un uomo che vede crollare in diretta il suo sogno filosofico.

— E Sakharov?

— Lui almeno non ha potuto vedere come è finita la sua coraggiosa battaglia. Non saprà mai di aver contribuito a fare arricchire i nuovi ladruncoli democratici.

— Giudizi duri e sprezzanti anche su altri scrittori molto amati in Occidente e adesso mitizzati anche i Russia. Non ci sarà un po' di invidia?

— Per la prima volta Limonov sembra arrabbiarsi: «Ma figuratevi se invidio gente come Bulgakov, per esempio. Il Maestro e Margherita è un'operina banale infarcita di intellettualismi da quattro soldi. Ma il suo capolavoro è Cuore di cane, zeppo di ripugnante razzismo sociale e di un disgustoso disprezzo per la classe operaia.

— E non è finita.

— Vogliamo parlare di Venedikt Erofeev e del suo Mosca-Petuski? Una robetta presuntosa senza alcun valore letterario.

Ecco che piano piano affiora il Limonov che ci aspettavamo. L'uomo che ha smesso di scrivere romanzi dopo i successi del periodo francese e che si è dedicato alla sua guerra personale contro Putin tra le fila di un neo partito bolscevico.

— Ma che vuol dire bolscevico nella Russia del 2012? Nostalgia di un passato dimenticato?

— In un certo senso sì. Molte cose andavano cambiate, adeguate ai tempi. Ma la distruzione di tutto è stato un errore gravissimo. Un disastro. Per questo non perdonerò mai Gorbaciov e Eltsin.

— Gorbaciov in particolare.

— Per lui ci vorrebbe la ghigliottina, lo scriva. Voi occidentali continuate a considerarlo un eroe. Ma qui in Russia non lo sopporta nessuno. Vi siete mai chiesti il perché?.

— In effetti sì, ma non ci sono molte risposte ragionevoli.

— Perché ha smantellato il Patto di Varsavia, ci ha fatto perdere tutto quello che controllavamo. Ha fatto riunire la Germania devastando ogni equilibrio in Europa». E la teoria di Limonov diventa elementare e diretta: «La Germania Unita ha per esempio fomentato la guerra in Jugoslavia. Le migliaia di vite perdute nella guerra dei Balcani sono tutte a carico del signor Gorbaciov.

— Possibile che Gorbaciov sia un suo nemico più di Putin stesso?

— Certo che sì. Su Putin ho un atteggiamento freddo. Ci ha tolto la libertà, è vero. E lo combatto per questo. Ma con lui almeno si sopravvive. Negli anni del caos di Eltsin invece si faceva fatica pure a trovare il pane.

— Dunque Putin meglio di Eltsin.

— Diciamo che la priorità è il pane. Poi viene la libertà. Dunque prima ero contro Eltsin e adesso contro Putin per motivi diversi.

— Ma come fa a proporre ancora un modello bolscevico?

— Il partito bolscevico nacque in Germania prima della Rivoluzione. È a quello che mi ispiro. Diciamo che è una via di mezzo tra libertà individuale e giustizia sociale.

Intanto, così per restare controcorrente, il suo manipolo di fedelissimi diserta le grandi manifestazioni e preferisce protestare in disparte. Lui viene arrestato quasi ogni volta. Sconta una settimana o due di carcere. Poi torna fuori. «Non mi fido dei giovanotti piccolo-borghesi che protestano adesso. Sono confusi, velleitari, e sono manipolati da vecchi politicanti come Nemtsov che fanno il gioco del Cremlino. Tra un po' la moda passerà e io e i miei bolscevichi resteremo da soli contro questo regime.

— Ma non sarà un po' geloso della popolarità di scrittori come Boris Akunin e Ljudmjla Ulitskaja che contestano in piazza mentre i suoi romanzi in Russia li leggono in pochi?

— Akunin è uno scrittore? Mi giunge nuovo. È un compilatore di gialli dozzinali che ha fatto i soldi e ora cerca altra notorietà. Ha venduto moltissimo da quando voi lo intervistate in piazza. La Ulitskaja poi, una romanziera mediocre che si ostina in un genere letterario ormai superato.

— Cioè?

— Il romanzo, appunto. È nato nell'Ottocento, ma adesso non vale più niente. È una forma plebea di letteratura. E lo dico io che ne ho scritto 25 di buon livello. Adesso ho smesso. Mi dedico ai saggi. I romanzi sono ormai roba per adolescenti ignoranti.

— E cosa dovrebbe scrivere uno scrittore moderno?

— La verità nuda e cruda. L'altro giorno rileggevo i verbali delle testimonianze nei miei confronti in uno dei tanti processi contro di me. C'erano le voci di decine di personaggi reali. Una densità drammatica che nemmeno Shakespeare sarebbe riuscito a realizzare. E comunque io non mi considero nemmeno uno scrittore.

— Altro colpo di scena, come dobbiamo definirla allora?

— Un intellettuale. Che è ben diverso da essere un membro della intelligentsja. Di quelli ce ne sono tanti, in tutte le epoche. Si limitano a propagandare quello che gli intellettuali veri hanno elaborato almeno vent'anni prima.

— E lei che cosa ha elaborato per le generazioni future?

— Ghigno soddisfatto, gesto teatrale del braccio, voce in leggero falsetto con un pizzico di autoronia: «Rilegga con attenzione il libro di Carrère, qualcosa troverà.


Nicola Lombardozzi | «Il Venerdì di Repubblica», #1285, 2 novembre 2012

Eduard Limonow

Original:

Nicola Lombardozzi

Eduard Limonov: Io, l'intellettuale bolscevico, che odia Putin e Gorbaciov

// «Il Venerdì di Repubblica» (it),
#1285, 2 novembre 2012