»LIMONOW«


von
Emmanuel Carrère



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Emmanuel Carrère: «Non chiamatela autofiction»

Ebbene sì: colui che viene universalmente indicato come il detentore mondiale della coppa dell’«autofiction», ossia lo scrittore francese Emmanuel Carrère, si disimpegna e rilancia. «Se mi permette, non sono d’accordo con l’utilizzo di questa definizione. In fondo, la si usa per indicare ciò che, da sempre, si chiama “autobiografia”. Quindi, per quanto riguarda le mie opere non la userei».

Dopo Vita come un romanzo russo e Limonov, L’Avversario (pagg. 169, 17 euro; traduzione E. Vicari Fabris) è stato il terzo Carrère della mia carriera di lettrice. Il bello è che Adelphi sta, man mano, ritraducendo e ristampando (anche in ebook) tutta la sua opera (ex Einaudi) e, a maggio 2014, uscirà anche La settimana bianca e poi chissà (noi fan aspettiamo qualcosa di veramente nuovo).

Il perché di un titolo così dostoevskiano è, presto, spiegato a pagina 24: «Avrebbero dovuto vedere Dio e al suo posto avevano visto, sotto le sembianze dell’amato figlio, colui che la Bibbia chiama Satana: l’Aavversario». «Loro» sono i genitori del pluriomicida Jean-Claude Romand che, dopo avere mentito per 18 anni a famiglia e amici sulla propria vita lavorativa, e non solo, l’8 gennaio 1993 uccise la moglie, i due figli piccoli, i genitori e diede fuoco alla propria casa tentando (maldestramente) di suicidarsi (qui, un articolo apparso su Libération otto giorni dopo i delitti).

Ho incontrato Carrère al Festivaletteratura di Mantova. Ha lo charme del parigino colto e lo sguardo di un antieroe russo. La nostra intervista è proseguita così. Carrère: «Si parla tanto di questa moda dell’autofiction, ma in realtà si tratta di una delle manifestazioni più antiche del pensiero umano, ancora prima della fiction: raccontare di se stessi».

— Secondo lei, lo scrittore deve avere un ruolo politico?

— A lungo me ne sono tenuto lontano. Poi, negli ultimi dieci anni, sono diventato più sensibile a certe questioni, sia storiche che politiche. Ci sono argomenti sui quali penso di avere una piccola competenza: su questi mi sento in diritto di esprimere un’opinione, ma non mi sentirei a mio agio a parlare di qualsiasi cosa. Preferisco prendermi del tempo per riflettere, come ho fatto in Vite che non sono la mia e in Limonov, per mostrare la complessità di certe situazioni. Sono un uomo di reportage, non di editoriali.

— Che cosa, in Romand e Limonov, l’ha colpita al punto da decidere di dedicare loro un libro?

— Quando scelgo dei personaggi reali mi baso su due caratteristiche: devo sentirli sia molto lontani da me – e infatti non ho ucciso la mia famiglia né ho mai avuto una vita avventurosa, anzi, rispetto a loro sono un tipo equilibrato, borghese, prudente – sia, allo stesso tempo, avere con loro qualcosa in comune. In questi due casi, un fondo di paura e di angoscia come Romand, e una sorta di fedeltà all’ideale infantile dell’avventura, alla I tre moschettieri, come ha anche Limonov.

— Nel panorama internazionale vede un altro personaggio degno di attirare la sua attenzione di romanziere?

Non proprio. A volte, però, penso che mi piacerebbe, se trovassi un personaggio interessante, occuparmi del mondo del denaro. Sul quale sono totalmente ignorante e che comunque determina le nostre vite.

— Qual è stato il commento di Limonov (nella foto, con lui; diritti riservati) al romanzo? Siete ancora in contatto?

— Ufficialmente non ha fatto commenti. Prima di pubblicarlo glielo mandai, e lui mi rispose via email dicendo che un giorno mi avrebbe detto ciò che ne pensava, o forse mai. In realtà, ne è stato contento e fiero. Le volte che l’ho incontrato, sempre in Russia, a Mosca – non espatria per paura che non lo facciano più rientrare – me lo ha detto. Non siamo amici, ovviamente, ma abbiamo un buon rapporto. Avrà tanti difetti, ma di bello ha che è leale.

— Lei ha scritto molto anche per la Tv. Quali sono le sue serie preferite?

— In assoluto è stata Six Feet Under, ma mi è piaciuto molto anche Breaking Bad. Purroppo però non ne vedo tantissime perché è davvero un investimento enorme di tempo.

— Ha un libro da consigliarci?

Ombre sull’Hudson di Isaac Singer, pubblicato come feulleton su giornale americano dopo la Seconda guerra mondiale, storie d’amore, di amicizia di affari che potrebbero sembrare banali ma che io ho trovato straordinarie per le la profondità morale e filosoficae.


Laura Pezzino | «Vanity Fair», 31.10.2013

Emmanuel Carrère

Original:

Laura Pezzino

Emmanuel Carrère: «Non chiamatela autofiction»

// «Vanity Fair» (it)
31.10.2013