»LIMONOW«


von
Emmanuel Carrère



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Come sono diventato un mito

Eduard Limonov

Prima del bestseller di Emmanuel Carrère, nessuno lo conosceva se non in Russia. Ora è lo scrittore dissidente a raccontare in prima persona.

Mi dicono che in Francia sono diventato un idolo solo quando Nicolas Sarkozy, durante una seduta del consiglio dei ministri della Repubblica francese, raccomandò loro di leggere Limonov, la mia biografia romanzata scritta da Emmanuel Carrère. «Ve la consiglio per comprendere la Russia,» ha detto il presidente. «Non dimenticate che quel Paese è quarantasei volte la Francia e due volte e mezzo gli Stati Uniti.» Prima di queste dichiarazioni del presidente non avevo prestato molta attenzione alle sorti della mia biografia in Francia. Naturalmente mi sbalordivano sia questo “milione e rotti” guadagnati da Carrère, sia la miriade di articoli apparsi sui mass media francesi (su Google fino a 900 risultati al giorno), ma seguendo tutto questo cancan da lontano, tendevo a non considerarlo come un uragano, come uno tsunami. Ma quando un presidente si ostina a rifilare un libro ai cittadini, questo sì che è fuori dal comune... A febbraio poi mi dicono che non si tratta più di un semplice successo, ma di un vero trionfo, e che nessuno adesso potrà calpestarlo questo trionfo. Mi sono detto che mentre il prestigio del premio Nobel collassa drasticamente - ora lo conferiscono a qualsiasi insulso letterato erbivoro originario di un Paese sottosviluppato, quando invece negli anni Sessanta e Settanta lo conferivano a personalità turbolente come Šolochov e Solženicyn — ecco che io all’improvviso ottengo una vittoria paragonabile ai premi Nobel degli eroici anni che furono.

Spulciando in Google ho scoperto che la Francia si divide tra chi considera Limonov un eroe e chi lo considera una carismatica canaglia e un avventuriero. Sempre in Google ho scoperto che a considerarlo eroe è la maggioranza, tuttavia mi son detto che anche l’aura di carismatico avventuriero non mi dispiace. Ho cominciato a chiedermi, perché mai danno così i numeri laggiù in Francia? E facendo a spintoni per sbirciare dal buco della serratura — ovvero il libro di Carrère — seguono tra adorazione e sdegno le peripezie di un russo? Perché mai? Sono giunto alla seguente conclusione. È tutta colpa del politicamente corretto piombato sull’Europa intorno agli Anni 80 come una pesante rete che ha soffocato tutti i germogli di geni patrii. Il clima del politicamente corretto introdotto, beninteso, con le migliori intenzioni dai padri spirituali dell’Europa, ha distrutto la possibilità stessa che comparissero geni ribelli, indomiti, non castrati. La caterva di tabù inflitti sin dall’infanzia ai cittadini del continente europeo ha portato alla comparsa di un’intera classe di mansueti intellettuali. Vietato essere razzisti, men che meno mercenari, vietato dire la propria, che la Serbia è stata attaccata dall’Occidente, che l’Iraq è stato attaccato dall’Occidente, che la Libia (tutti Paesi sovrani) è stata attaccata dall’Occidente. Vietato persino alludere al fatto che alcuni Paesi, comparsi sulla carta dell’Europa, sarebbe stato meglio non ci fossero. Vietato alludere al fatto che l’Europa è una specie di enorme sanatorio dove i “malati” irrequieti vengono sedati in fretta. Vietato fondare un partito, chiamarlo “Nazional bolscevico”, dargli una bandiera che da lontano sembra un clone di quella della Germania di Hitler. Vietato andare in giro a sparare con una mitragliatrice per Sarajevo... Vietato organizzare una rivolta in Kazakistan... Non fosse che tutto questo, e molto altro ancora, l’ha fatto nella sua vita un tal Limonov libero da catene, che il nostro buon francese, Emmanuel Carrère, ha dipinto tanto talentuosamente, basandosi su fatti realmente accaduti, ecco il ragionamento dei francesi.

E giacché i francesi sono un popolo ancora vivo, espansivo, attraverso tutti i dogmi che gli hanno imposto, trascurando il politicamente corretto, anzi no, è meglio dire, buttate allegramente nella spazzatura le regole del politicamente corretto, si son messi a plaudire questo Limonov. In passato anche loro avevano eroi così, non poi tanto tempo fa, Céline, Jean Genet... I francesi, ne sono certo, si perdonano l’infatuazione per il non politicamente corretto Limonov, per loro è più facile essendo Limonov russo. Confesso che provo un’esultante gioia maligna. Ricordo la poderosa campagna ben organizzata su tutti gli organi di stampa francesi contro il «complotto nazional bolscevico» in Francia nel 1993. E poi la decina di giornalisti di L'idiot International che allora ce la misero tutta per farmi a pezzi. Ed ecco quelle stesse testate, la crème de la crème, e centinaia di altre, cantare l’osanna al libro di Carrère e a me, suo protagonista... Niente male!

Ho continuato a ragionarci su e sono arrivato a una seconda conclusione. A me è successo ciò che doveva inevitabilmente accadere dopo la mia morte. La fama postuma mi è piombata addosso da vivo. Di solito, dopo circa vent’anni dalla dipartita di un simile personaggio provocatorio, alcuni intellettuali entusiasti dissotterrano i suoi libri polverosi, gli editori li rieditano, ed ecco che i lettori vi trovano valore, temperamento e stile. Mentre io, quando ho lasciato la divina Francia, ed è giunta la morte, non fisica s’intende, soltanto civile, me ne sono tornato armi e bagagli nel Paese delle sofferenze e delle tetre disavventure, nella Russia fredda e ruvida come la parete di una baracca. E così i francesi mi hanno effettivamente riesumato post mortem, quella civile s’intende. E adesso mi plaudono dall’anacronistico Paese del politicamente corretto dove sono parecchi a soffrire di depressione. La depressione è la malattia più diffusa in quel Paese, la Francia. Lo sapevate? Adesso lo sapete. E la depressione, ne sono certo, è la conseguenza del politicamente corretto introdotto a forza dal regime.

Io mi esimo e continuo a esimermi dal giudicare i libri di Carrère. Quando mi ha chiesto cosa pensavo del libro, gli ho risposto: «Non te lo dico. Forse un giorno te lo dirò o forse non te lo dirò mai. È meglio così». Questa risposta lo ha folgorato. Ma io perché gli ho risposto così? Perché Carrère ha fatto di me un mito. Diciamo, lo scheletro di un mito. E perché mai dovrei distruggere un mito che i lettori hanno fatto proprio? Perché distruggere un mito che adesso si diffonderà, senza voler esagerare, in tutto il pianeta, dato che il libro, oltre a Germania, Stati Uniti, Italia, Spagna, Olanda, l’hanno comprato anche Paesi quali Brasile e Corea del Sud, e le varie Danimarche e Norvegie. No, non mi metterò a distruggere un mito.

Carrère mi dice che non si aspettava un successo simile. Ne è persino rimasto quasi scioccato. Per la mia biografia non ha ricevuto il Premio Goncourt (per via del protagonista del libro, l’estremista Limonov) ma ha vinto il Renaudot e il Premio dei premi, con i suoi milioni di euro. Io invece mi sono aggiudicato il mito. Ho avuto più di lui.

Carrère mi dice che non si aspettava assolutamente un successo così straordinario per un libro su uno scrittore russo e sulla politica del suo Paese d’origine. Non riesce proprio a capire che Francia e Russia si completano a vicenda. Noi siamo folli, i francesi sono ragionevoli fino alla stucchevolezza, fino alla depressione cronica. Noi russi siamo tutti estremisti (e pure il governo, la polizia, e io, l’unico intellettuale in un Paese che conta vari milioni di intellettuali), mentre i francesi, come sonnambuli, sono politicamente corretti. Perciò come si fa a vivere senza il proprio opposto, senza il più estremista dei russi? Vive Limonov!

Avrò raggiunto i Nobel Šolochov, Pasternak, Solženicyn e Brodskij? Occhio che non li abbia sorpassati...


«GQ» (Italia), #3, marzo 2013

Eduard Limonow

Original:

Eduard Limonov

Come sono diventato un mito

// «GQ» (it),
#3, marzo 2013