»LIMONOW«


von
Emmanuel Carrère



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Limonov. Analisi di un caso editoriale

a cura di Stefano De Luca, Alan Di Forte e Chiara Palmisciano

Quel che raccontava, ossia la sua vita, mi impressionava più del modo in cui la raccontava. Che vita! Che energia!

Storia di un successo

Quando si cerca di fare luce sull’origine dei successi letterari ci si imbatte spesso nel destino, in quell’avvenimento casuale che ha indotto un autore a scrivere quella storia. Indagare sul successo di Limonov di Emmanuel Carrère, però, è ben più complesso. Quell’avvenimento casuale, quell’incontro tra due persone accomunate solo da stima reciproca e ammirazione, non basta, non è il momento da cui prende vita la fortuna di questo caso letterario. Interrogarsi sul successo di quest’opera acclamata tanto dalla critica quanto dalle vendite significa, infatti, imbattersi in ben due destini: quello che ha fatto di Emmanuel Carrère uno dei romanzieri contemporanei capaci di riscuotere consensi unanimi di pubblico e critica internazionali e che lo ha portato a conoscere e a voler scrivere di Limonov, e quello che ha fatto di Eduard Savenko quell’acido ed esplosivo Limonov di cui Carrère ha scelto di raccontare la storia. Indagare queste vite da cima a fondo è l’unica chiave per spiegare la fortuna di Limonov, perché ogni tappa delle loro vite è un tassello che contribuisce a creare il caso letterario.


Carrère sulla strada verso Limonov

È lo stesso Carrère la nostra principale guida nella ricostruzione del percorso che lo ha portato a scrivere questo romanzo biografico, confessando la pregnante influenza delle proprie origini familiari. Il nonno materno, Georges Zourabichvili, membro di una famiglia dell’aristocrazia georgiana che con il potere zarista aveva intrattenuto rapporti contrastati, era leale ai Romanov, tanto da abbandonare la patria in seguito alla Rivoluzione d’ottobre e all’affermazione del regime bolscevico in Georgia (1921-1922). In un passo di Limonov Carrère si richiama ai sentimenti antirivoluzionari ancora presenti nella sua famiglia quando ricorda la soddisfazione della madre a seguito della dissoluzione del blocco sovietico «sia perché lo avversava in quanto figlia di russi bianchi, sia perché lo aveva previsto»1. Fuggito verso l’Occidente, il nonno aveva compiuto gli studi in Germania e, sposato con una nobildonna russa, era approdato in Francia dove aveva avuto due figli prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale e della sua misteriosa scomparsa al termine di essa. È ancora Carrère a rievocare con compostezza questa tragedia familiare — che avrebbe segnato per sempre le memorie e gli interessi culturali materni — nel recente La vita come un romanzo russo:

Gli ultimi due anni dell’occupazione, a Bordeaux, [mio nonno] lavorò come interprete per i tedeschi. Al momento della liberazione, degli sconosciuti vennero ad arrestarlo a casa sua e lo portarono via. Mia madre aveva quindici anni, mio zio otto. Non l’hanno più rivisto. Non si è mai ritrovato il suo corpo. Non è mai stato dichiarato morto. Nessuna tomba porta il suo nome2.

La madre — destinata a diventare un’illustre storica, conosciuta con il nome di Hélène Carrère d’Encausse — orienta i propri studi verso la terra del padre, con un’attenzione particolare al periodo successivo all’instaurazione del regime sovietico, causa dell’esilio familiare, per poi estendere soltanto in un secondo momento la propria attenzione all’epoca zarista. I souvenir dei viaggi materni nell’Urss per motivi di studio costituiscono il primo, indiretto motivo di attrazione e di contatto del giovanissimo Emmanuel con quel mondo lontano, fino alla prima visita avvenuta all’età di dieci anni.

Scrive Carrère:

Quelle foto erano immerse in un’ammaliante luce color seppia che da piccolo mi attraeva e mi faceva un po’ paura. Avrei voluto accompagnare mia madre in quel paese misterioso che lei chiamava «lurss»: non mi piaceva che ci andasse, perché le nostre separazioni mi facevano soffrire, e poche volte sono stato così felice come il giorno in cui, invitata a un convegno di storici a Mosca, ha deciso che ero abbastanza grande per andare con lei3.

D’altra parte Carrère non segue da vicino la vocazione della madre, mostrandosi da giovane più distaccato verso il paese cui ella continua a dedicare saggi storici, uno dei quali, L’Empire éclaté4 — profezia sull’imminente caduta dell’impero comunista — le regala una certa notorietà anche al di là della cerchia degli specialisti. Emmanuel affianca gli studi in Scienze politiche all’attività di critico cinematografico, nell’alveo della quale fiorirà anche la sua vocazione letteraria, ma non si occupa di questioni relative al mondo sovietico. In effetti, è ancora la madre a offrirgli l’occasione del primo incontro con Eduard Limonov, trasferitosi dagli Stati Uniti a Parigi nel 1980 con l’aura di scrittore emergente in grado di riversare con naturalezza nei suoi libri le proprie esperienze, estreme e scandalose. Carrère si imbatte nel suo Il poeta russo preferisce i grandi negri proprio in casa della madre — che lo ha trovato noioso e pornografico — e, pur giudicandone corrivo lo stile, resta colpito dalla forza che promana da quelle pagine:

Quel che raccontava, ossia la sua vita, mi impressionava più del modo in cui la raccontava. Che vita! Che energia! Quell’energia, purtroppo, anziché stimolarmi, mi faceva sprofondare sempre di più, pagina dopo pagina, nella depressione e nell’odio per me stesso. Più leggevo, e più mi sembrava di essere fatto di una materia sbiadita e mediocre, e di essere destinato a recitare nel mondo la parte della comparsa, una comparsa amareggiata e invidiosa che sogna ruoli da protagonista ben sapendo che non li avrà mai perché le mancano il carisma, la generosità, il coraggio, tutto, tranne la spaventosa lucidità dei falliti5.

Cogliamo qui in embrione uno dei motivi del futuro interesse di Carrère per Limonov: la prima percezione di un’esistenza così diversa dalla propria, animata da una selvaggia tensione vitale, che un giorno lo spingerà a documentarsi con pazienza e scrupolo per divenirne il narratore. Già a quel tempo, comunque, vuole saperne di più. Al momento dell’uscita di Diario di un fallito riesce a contattare lo scrittore russo per un’intervista radiofonica. Dopo quell’episodio, però, i contatti si limitano a sporadici incontri, nonostante una durevole — ma non ricambiata — curiosità di Emmanuel verso quel personaggio così singolare.

Con l’implosione dell’Unione Sovietica e il ritorno di Limonov in patria, Carrère lo perde quasi di vista, pur seguendo con attenzione il dissolversi dell’intero blocco comunista. Gli giungono notizie circa i suoi fallimentari tentativi di incidere sulla nuova situazione politica che si va delineando in Russia, unitamente all’eco della partecipazione ad azioni delle milizie serbe contro croati e bosniaci, che suscita disgusto negli ambienti parigini; infine, nel 2001, si diffonde la notizia del suo arresto con l’accusa di terrorismo e traffico d’armi. Poi nulla più, ed è soltanto qualche anno più tardi — e in modo casuale — che l’attenzione di Carrère torna nuovamente a focalizzarsi su Eduard.

In Francia Carrère è ormai uno scrittore e sceneggiatore affermato. Con il tempo, il senso di un legame con il paese del nonno è divenuto più forte e stabile, ed egli ormai lo frequenta spesso. Nell’autunno del 2006 si trova proprio in Russia, dove ha appena girato un documentario nel villaggio di Kotelnitch6. È ora che avviene la svolta. Alla notizia della misteriosa uccisione di Anna Politkovskaja, coraggiosa giornalista avversa al regime di Putin, Emmanuel si reca a Mosca per conto di una rivista: deve raccogliere le testimonianze di coloro che sono stati in rapporto con lei. In quegli stessi giorni, sempre nella capitale, si svolge la quarta commemorazione per l’eccidio nel teatro Dubrovka: vi partecipa e, improvvisamente, intravede Limonov. Rimane subito colpito da quella stessa energia che aveva percepito, tanti anni addietro, nella lettura del suo primo libro e in occasione degli incontri parigini: «Rispetto al passato aveva meno l’aspetto di un rocker e più quello di un intellettuale, ma era sempre circondato dalla stessa aura, imperiosa, energica, percettibile anche a cento metri di distanza»7.

La curiosità sul personaggio riprende vita, e con essa iniziano le sorprese. Se a Parigi Limonov è ormai considerato una figura poco raccomandabile, macchiata dal coinvolgimento nelle guerre jugoslave e di un rilievo politico del tutto secondario — per di più a capo di un partito dalla discutibile ideologia nazionalcomunista —, Carrère scopre che in Russia circolano anche opinioni differenti. Proprio la Politkovskaja, considerata in Occidente una martire della libertà, aveva definito i nazbol di Limonov come eroi della lotta democratica, e non era la sola. Di fronte a questo disorientamento, lo scrittore francese sente il desiderio di approfondire. Quando, l’anno seguente, gli viene chiesto un servizio per il primo numero di una rivista, ne impone uno proprio su Limonov. La conoscenza fa un salto di qualità, perché Carrère si conquista la possibilità di trascorrere due settimane con lui per intervistarlo e seguirne le attività quotidiane. Nel frattempo ha riletto Diario di un fallito, affiancando così all’indagine giornalistica sul personaggio la conoscenza dello scrittore attraverso i suoi libri. È un periodo fecondo, ricco di nuove scoperte. Se qualcuno in Francia lo reputa «un farabutto di mezza tacca»8, Limonov — che intanto ha aderito a una nuova coalizione — è orgoglioso, ma non pago, dei traguardi raggiunti. Si considera un vero rivoluzionario e dice con fierezza: «Nella vita ho realizzato il mio programma»9. Sogna di essere a capo di una rivoluzione democratica, nonostante gli manchi un grande seguito. L’indagine di Carrère si allarga. Parla con persone di cultura e ambienti differenti, ma nessuno parla male di Limonov, anche se magari non vota per lui alle elezioni. Ancora una volta è la sua personalità ad affascinare: «Amano il suo personaggio sulfureo, ammirano il suo talento e la sua impudenza, e i giornali, che lo sanno, parlano continuamente di lui. Insomma, Limonov è una star»10.

Carrère è disorientato da questa nuova immagine, e si rivolge allora ai militanti del suo movimento. Fra costoro, Limonov è addirittura oggetto di culto: «Ha avuto la vita avventurosa che a vent’anni sognano tutti, è una leggenda vivente, e il cuore di questa leggenda, ciò che invoglia tutti a imitarlo, è l’eroismo cool di cui ha dato prova durante la prigionia»11. Ecco il punto: la sua vita, capace di comprendere le esperienze più disparate ed estreme, per gli altri è motivo di ammirazione, per lui è ragione di orgoglio, e spinge lo stesso Carrère a non limitarsi a un articolo. Decide quindi di scrivere un libro su di lui, sulla sua vita inquieta che lo ha portato tanto lontano, una vita così diversa dalla propria, stabile e prevedibile. Questa vita — aggiunge Carrère — è passibile dei giudizi più diversi, ma il suo scopo non è giudicarla, bensì raccontarla. Attraverso la narrazione, lo sguardo si allargherà alle vicende russe dalla guerra in poi, e lo stesso lettore occidentale potrà cogliervi qualcosa che lo riguardi12. Convinto di questo, Carrère realizza l’articolo e continua a documentarsi, leggendo tra l’altro tutti i libri scritti dal suo protagonista. Quando, alla fine del 2009, si recherà nuovamente a Mosca per intervistarlo, ribadirà allo stesso Limonov, curioso di conoscerli, i motivi di tanto interesse: perché ha avuto «una vita romanzesca, pericolosa, una vita che ha accettato il rischio di calarsi nella storia»13.

L’ambiente familiare e le occasionali frequentazioni costituiscono certamente il terreno in cui è maturato l’interesse di Carrère per il suo personaggio, ma non ne esauriscono la spiegazione. Al di là dei legami dell’autore con il mondo russo, c’è qualcos’altro che lo ha spinto a votarsi a un’indagine tanto tenace prolungatasi per anni. Il motivo va ricercato — lo abbiamo accennato — nella stessa personalità complessa, contraddittoria, inquietante e difficilmente inquadrabile di Eduard, che ha qualcosa in comune con alcuni dei personaggi a cui Carrère ha dedicato le sue fatiche letterarie. Limonov infatti, pur essendo anche un grande affresco di storia contemporanea che si distingue dal resto della sua produzione — riallacciandosi per questo aspetto agli interessi materni —, non è un prodotto isolato della sensibilità carreriana. Innanzitutto, restando a un livello più superficiale, il protagonista incarna il tipo dell’avventuriero che in gioventù Emmanuel ha iniziato ad amare in contrapposizione alla propria personalità priva di nerbo. Scrive infatti: «Mi secca mostrarmi così poco indulgente con l’adolescente e il ventenne che sono stato. Vorrei amarlo, riconciliarmi con lui, ma non ci riesco. Mi sembra di poter dire che ero terrorizzato: dalla vita, dagli altri, da me stesso»14. Proprio per questo, all’inizio della sua carriera di critico cinematografico, viene affascinato dalla personalità di Werner Herzog, a cui dedica un omonimo saggio nel 198215. Ammira in lui la stessa energia che, nel medesimo periodo, crede di cogliere nel primo romanzo di Limonov:

Possente, fisico, intenso, assolutamente estraneo allo spirito frivolo e ironico che era la specialità di noi parigini dei primi anni Ottanta, andava per la sua strada senza fermarsi davanti a niente, sfidando la natura, coartando all’occorrenza l’indole di qualcuno, senza farsi condizionare dalla prudenza o dagli scrupoli di quanti stentavano a tenergli dietro16.

Un decennio più tardi la sua attenzione si soffermerà su un personaggio ancora più estremo e controverso, lo scrittore di fantascienza Philip K. Dick, da cui trarrà ispirazione per una biografia dall’eloquente titolo Io sono vivo, voi siete morti17.

L’indagine su Dick — che aveva spinto oltre i limiti le proprie capacità immaginative grazie all’uso di stupefacenti, trattando la vita stessa come una grandiosa esperienza artistica fino alla follia e all’autodistruzione — costituisce lo spunto per cogliere un altro aspetto della sensibilità di Carrère: non solo l’attrazione verso personalità possenti, ma anche lo studio attento e la descrizione onesta di regioni oscure dell’animo umano, come la pazzia e il dolore. In alcune opere di narrativa Carrère ha raggiunto quest’obiettivo, documentandosi (o inventando) con precisione, raccontando con chiarezza, evitando però ogni giudizio su esperienze molto lontane dalle sue, ma che in altre circostanze avrebbero potuto riguardarlo. Già nel 1986, in Baffi18, mette in scena un protagonista che, a partire da un episodio banale — la moglie negava che si fosse mai tagliato i baffi, anzi, che li avesse mai avuti —, arriva all’alienazione mentale. Nel 2000 Carrère attinge alla cronaca, narrando nell’Avversario19 il terribile caso di JeanClaude Romand, che anni prima aveva sterminato i familiari per evitare che scoprissero che tutta la sua vita, così come l’aveva loro raccontata, era una menzogna. L’autore si documenta con scrupolo, assiste al processo, e si cimenta nel paziente lavoro di immaginare i percorsi mentali che abbiano potuto indurre Romand a sopportare una doppia esistenza per diciotto anni, fino all’atroce epilogo. Qualche anno dopo infine, testimone dei lutti di due famiglie (la morte di un bimbo nello Sri Lanka a causa dello tsunami del 2004 e la scomparsa di una giovane madre consunta dal cancro), si pone in ascolto delle loro sofferenze, interessandosi a esse come a delle realtà che solo per caso lo hanno risparmiato, e le racconta con precisione chirurgica (Vite che non sono la mia)20.

Quando il libro esce in Francia, Carrère sta già lavorando al romanzo su Limonov. Il personaggio riunisce in sé tutto ciò che lo ha sempre attratto e offre ampie possibilità di indagine nei recessi della sua vita attraverso libri, cronache, racconti in prima persona, conversazioni con chi lo ha conosciuto. A sua volta Carrère possiede tutti gli strumenti per affrontare l’impresa. Come giornalista, raccoglierà e catalogherà i diversi tipi di testimonianze necessarie per la stesura dell’opera, ma saprà contestualizzarli nella più vasta storia russa e mondiale, alla maniera dello storico. Nel montaggio del libro, valorizzerà la sua esperienza di sceneggiatore, facendosi talvolta anche attore non protagonista, a garanzia della verità di ciò che dice21; infine, da scrittore, presterà la propria sensibilità alla ricostruzione dei pensieri e dei sentimenti del personaggio22, ora amandolo, ora detestandolo23, ma raccontandolo prima di tutto, con lo sforzo di sospendere ogni giudizio e di impiegare una lingua tersa, elegante ma mai compiaciuta per descrivere con chiarezza una vita che non è stata la sua, ma che avrebbe potuto esserlo, e nella quale può ritrovare qualcosa di sé.


Eduard Veniaminovich Savenko e la sua vita da Limonov

Eduard Veniaminovich Savenko nasce a Dzeržinsk, in Ucraina, il 22 febbraio 1943; figlio di un modesto ufficiale della polizia Čeka, quella che sarebbe poi diventata il Kgb, e di madre casalinga ma con un temperamento molto più brusco del padre. Da bambino fragile si trasforma in un teppista di strada, grazie proprio agli insegnamenti di mamma Raisa, che gli inculca l’idea che il più forte vince sempre e che incutere timore agli altri è un buon modo per non subire seccature. Cresciuto comunque con una forte passione per la letteratura, Eduard inizia a frequentare circoli letterari dove si approprierà del soprannome Limonov, in onore alla sua scrittura aspra per toni e contenuti e a un gioco di parole con la M26, granata ribattezzata «bomba limone» a causa della sua forma. L’inseguire il successo letterario lo porta a Mosca insieme a Anna, sua compagna dell’epoca; nella capitale conoscerà la bella e giovane Tanja con la quale riuscirà a espatriare nel 1974 a New York. In terra americana le avventure di Limonov continuano ad avere fortune di poca importanza alternate a drammi che lo spingono a tentare il suicidio, come quando viene lasciato da Tanja e si ritrova solo e povero in un paese che non conosce. Da questo abisso inizia un percorso che lo porterà a terminare il suo primo romanzo autobiografico, Il poeta russo preferisce i grandi negri, che gli permetterà di affermarsi come scrittore, benché inizialmente solo in Francia. Proprio a Parigi, dopo aver lavorato come domestico in America, negli anni Ottanta Eduard si cala nella vita dello scrittore underground di successo e continua a ricevere recensioni positive per romanzi sempre di matrice autobiografica (come Storia di un domestico e Diario di un fallito) scritti precedentemente all’arrivo a Parigi. In Francia trova, dunque, la sua dimensione nelle atmosfere punk tipiche dell’underground, ma la sua voglia d’azione lo porta sui Balcani a combattere la guerra al fianco di criminali come Karadžić e Arkan, per difendere la causa dei serbobosniaci sulle colline in Bosnia. Tornato in Russia cercherà il colpo di Stato contro El’cin e poi, col suo Partito nazionalbolscevico, diverrà un fiero oppositore del regime di Putin; opposizione spesso anche dimostrativa, che ovviamente lo condurrà più volte in carcere. Ancora oggi spera in una «iper-rivoluzione» che possa cambiare il proprio paese, mentre continua a pubblicare opere di successo, soprattutto in Russia, opere che, però, non sono mai state tanto lette e celebrate come la biografia che Carrère ha scritto su di lui.


Il Limonov di Carrère

Pur distinguendo l’uomo dal personaggio descritto in Limonov, non si può fare a meno di notare come entrambi siano definibili con un termine preciso e incontestabile, che ricorre in tutta la biografia di Limonov: «controverso». Eduard Savenko in arte Limonov è un uomo e un personaggio che ha fatto dell’essere controverso la sua bandiera, l’unico topos ricorrente in ogni fase della sua vita, in ogni azione intrapresa, in ogni idea avuta e in ogni ideologia esplorata. Ripercorrendo tutte le stazioni del suo viaggio, dalla piccola Char’kov dove è cresciuto fino alla immensa e luminosa Mosca del nuovo millennio, Limonov non ha fatto altro che andare controcorrente, rivedendo anche le sue precedenti prese di posizione, ma mantenendo una grande coerenza nella forza con cui si è sempre schierato. È quindi questo continuo andamento sinusoidale dei suoi pensieri e dei suoi gesti ad attrarre chi si ritrova a leggere Limonov, più ancora delle singole avventure del protagonista, che già prese singolarmente varrebbero comunque un libro a parte. Un andamento che proviamo a ripercorrere nelle varie fasi della sua vita e delle sue idee.

Eduard Limonov vuole fare lo scrittore e adora la letteratura, ma odia profondamente i grandi autori russi suoi contemporanei, come ancora oggi non può fare a meno di ricordare:

Brodskij è un poeta sopravvalutato, abile manager di sé stesso; Bulgakov è un ripugnante razzista sociale e nemico della classe operaia; Evtušenko è un mediocre poeta e un uomo molto meschino; Solženicyn un poveretto che oggi non legge più nessuno perché con la fine dell’Urss ha assistito alla fine di tutto quello che aveva scritto24.

I suoi giudizi sono netti, taglienti, oltre che leggermente provocatori, ma sono anche dettati dall’invidia. In particolare Brodskij e Solženicyn hanno la colpa di aver sfruttato la loro condizione di oppositori, di dissidenti, per arrivare a ottenere fama e premio Nobel e inserirsi perfettamente nei circoli culturali snob e alla moda di New York, come nel caso di Brodskij, o di aver parlato al mondo delle crudeltà del regime sovietico, rendendolo vulnerabile, come nel caso di Solženicyn. Perfino in questi giudizi non si può fare a meno di notare il Limonov controverso: anche lui è andato via dall’Urss in America, anche lui vorrebbe sfamare la sua fame di successi letterari, ma non ci riesce e allora li critica. Quanto è puro il suo pensiero, e quanto invece è avvelenato dall’invidia? Una risposta certa non è possibile darla, lui però alla sua immagine di artista «puro» ci ha sempre tenuto, spiegando il suo mancato successo immediato proprio col rifiuto di piegarsi alle convenzioni che hanno fatto diventare Brodskij e Solženicyn due icone letterarie e umane, viste anche le loro sofferenze nei gulag e nelle galere russe. Ma Limonov non sarebbe Limonov se non tornasse indietro anche su questi giudizi, che oggi in parte rivede: «In quegli anni non potevo soffrire i dissidenti di mestiere come Solženicyn e Sakharov. Li consideravo falsi, costruiti. Adesso però riconosco la loro grandezza, non mi pento ma ammetto che la loro influenza è stata utile»25.

Il nome del partito fondato da Savenko nel 1992, il Partito nazionalbolscevico, è una perfetta sintesi di un altro aspetto che spiega al meglio il suo essere controverso, forse la parte della quale Carrère si occupa maggiormente: il pensiero politico. Con un nome che richiama allo stesso tempo il fascismo e il comunismo, capiamo immediatamente come le idee di quest’uomo non si siano mai poste il problema di ritrovarsi unite agli estremi, una caratteristica che Limonov porta con sé fin dall’inizio. Cresciuto sotto l’egida dell’Unione Sovietica, Eduard è sempre stato un grande sostenitore di questo regime, del suo totalitarismo, della sua durezza, pur non essendosi mai riconosciuto negli ideali del comunismo. Non a caso non ha mai avuto problemi a definirsi fascista, ma allo stesso tempo condannando, come con gli scrittori dissidenti, chiunque provasse a opporsi, anche solo a parole, alla supremazia sovietica. Non comunista quindi, ma sicuramente stalinista, al punto da biasimare l’uscita allo scoperto di Chruščëv riguardo i crimini del regime sotto la guida di Stalin. Nessun leader sovietico riuscirà più a convincere Limonov, che intanto se ne va in giro per il mondo con addosso sempre il suo cappotto dell’Armata Rossa. Interessante notare, leggendo il libro, come il suo disprezzo per Michail Gorbačëv, colpevole di aver distrutto l’Unione Sovietica, ci permetta di apprendere che non erano certo in pochi tra la popolazione russa a non vedere di buon occhio questo leader apprezzato e celebrato nell’Occidente, colpevole di aver tolto loro l’ombrello che proteggeva le certezze che si erano costruiti in una vita devota agli apparati: «Per Gorbačëv ci vorrebbe la ghigliottina, in Russia non lo sopporta nessuno. Ha smantellato il Patto di Varsavia, ci ha fatto perdere tutto quello che controllavamo, ha fatto riunire la Germania devastando gli equilibri europei, le vittime della guerra in Jugoslavia sono tutte a suo carico»26. L’odio per Gorbačëv, però, non si è certo trasformato in simpatia per chi lo ha tolto dal posto di comando, ovvero Boris El’cin, che Limonov stesso ha provato a rovesciare con un golpe, né tantomeno in stima verso l’attuale leader Putin, come spiega Eduard:

Su Putin ho un atteggiamento freddo. Ci ha tolto la libertà, è vero. E lo combatto per questo. Ma con lui almeno si sopravvive. Negli anni del caos di El’cin, invece, si faceva fatica pure a trovare il pane. La priorità è il pane, poi viene la libertà. Dunque prima ero contro El’cin e adesso contro Putin per motivi diversi27.

Si apre a questo punto una delle più grandi contraddizioni di Limonov, una pagina di un nero molto più profondo di tutto il nero che si può trovare nella sua biografia, una pagina che aveva portato Carrère a pensare di rinunciare a scrivere il libro, bloccandone la lavorazione per un anno: la partecipazione di Eduard alla guerra dei Balcani. Si è già detto che oggi il protagonista non si fa problemi a parlare della guerra nella ex Jugoslavia come di una vicenda tristissima per l’umanità, eppure all’epoca questa guerra lo ha visto anche in prima linea su un fronte molto violento, al fianco dei serbobosniaci di Karadžić in Bosnia. Ci sono filmati di Limonov in azione, come narrato anche nel libro, ma sbaglieremmo a pensare, leggendo le sue parole, che si sia pentito di quanto fatto tra il 1991 e il 1993. Ancora una volta la contraddizione emerge fortissima: Limonov è presente in prima linea, cosciente che sia stata scritta una pagina di storia drammatica, ma allo stesso tempo non ha rimorsi a distanza di anni per essere stato al fianco di accertati criminali di guerra: «Karadžić era un uomo mite e colto, sono fiero di essere stato suo amico. Un giorno sarete costretti a rivalutarlo. Ho combattuto al fianco di Arkan, aveva un passato criminale ma era un guerriero che lottava per la sua patria»28.

Infine oggi, dopo essere stato un grande sostenitore della durezza staliniana, con gli attivisti del suo partito, dichiarato fuorilegge, si rende protagonista ogni 31 del mese di atti dimostrativi contro il governo Putin, arrivando a sostenere: «Io e i miei ragazzi che ci facciamo arrestare ogni 31 del mese per ricordare il diritto a manifestare liberamente siamo i veri e unici oppositori al regime. Siamo un partito di duri contro uno stato poliziesco, nulla a che vedere con l’opposizione borghese che va in piazza di tanto in tanto»29. Le sue posizioni si sono sicuramente alleggerite e aperte, tanto che Limonov ha guardato con grande favore alla rivoluzione arancione avvenuta in Ucraina nel 2004; un’apertura di vedute certificata proprio dallo stesso Eduard, che parla anche di integrazione multirazziale: «Ero nazionalista, ma adesso credo che la Russia dovrebbe essere un paese multietnico. E che laddove la maggioranza lo voglia, si dovrebbe consentire l’applicazione della Shari‘ah»30. A scalfire l’immagine dura, che non accetta compromessi così come dipinta nel libro, arriva proprio Limonov quando afferma, incredibilmente, di aver scelto il nome del partito non in base alle sue idee, ma semplicemente per «questioni di marketing. Serve solo ad attirare l’attenzione e a risvegliare antiche energie»31. Lo scrittore russo che non accettava compromessi per pubblicare i propri libri, e che criticava i compatrioti dissidenti per essersi concessi troppo ai caldi e comodi salotti dell’Occidente, oggi arriva addirittura a ragionare con la testa da pubblicitario. E tutto, forse, per continuare a stupire, per insistere con l’immagine di un uomo capace di tutto e ovviamente anche del suo contrario.

Un uomo che continua a combattere le battaglie in cui crede, che è pienamente soddisfatto di ciò che ha vissuto e raggiunto, anche se Carrère gli fa ammettere di aver avuto una vita «di merda», ma lo fa perché, sostiene Limonov, «è un borghese. Io sono fiero di non essere finito come tanti miei coetanei persi nell’alcol in una periferia di fabbriche e discariche»32.


Il successo di Limonov

Indagati i destini di queste due figure intense e affascinanti ma dalle idee tanto diverse tra loro da precludere la nascita di un’amicizia, come ammette lo stesso Carrère, sembra che il successo della biografia di Limonov scritta dall’autore francese sia l’epilogo naturale delle opere di qualità che raccontano di vite atipiche.

In Limonov Carrère sale sulle montagne russe per raccontare la sregolata vita di Eduard Savenko che per il suo carattere acre come il limone e dirompente come la granata si è guadagnato il soprannome di Limonov. Il risultato è un libro che ha ricevuto elogi unanimi della critica e ha saputo mettere d’accordo i lettori in cerca di storie appassionanti e quelli dal palato più fine, diventando così un caso editoriale.

Tale successo si è dispiegato in più direzioni: Limonov è stato in cima alle classifiche dei libri più venduti in Francia, Russia e Italia, dove è giunto alla quinta edizione con cinquantamila copie vendute; ha avuto recensioni entusiastiche, è stato al centro dei dibattiti, si è aggiudicato ambiti premi letterari come il Prix Renaudot e il Prix des prix in Francia e il Premio Malaparte in Italia, e ha goduto di un vasto consenso mediatico.

Il merito della creazione di un caso letterario va certamente ripartito, ma chissà se in egual misura, tra il personaggio e il narratore. Se è vero che in Limonov si parla di realtà nuda e cruda, infatti, più che attribuire il successo alla penna di Carrère dovremmo riconoscere che la vita di Limonov è di per sé una storia avvincente. Ma le due cose non possono che essere legate. Come scrive lo scrittore Marco Missiroli nel Corriere della Sera, Carrère, con la sua prosa «che va dritta al bersaglio», ha saputo trasformare «un’esistenza straordinaria in un romanzo d’avventura universale»33. Ed è Carrère stesso a dichiarare che «ogni libro che mi metto a scrivere mi suggerisce un tempo, e stiamo parlando di tempo musicale. Limonov è un allegro con brio, e questa vivacità nasceva proprio dalla potenza del personaggio e influenzava il mio stile: una sorta di tamburo battente mi ha trascinato, aiutandomi nella stesura»34, dimostrando come la forza del personaggio sia stata la linfa vitale del sua prosa, e che quindi i due aspetti sono inscindibili. L’aderenza alla realtà, l’amore per la verità, è decisamente una carta vincente. In occasione del dibattito tenuto dopo l’assegnazione del Premio Malaparte, l’autore ha affermato: «La fiction non è morta. Il fatto che io non ne scriva più e prediliga la nonfiction come autore non significa che il romanzo non abbia più un futuro», così come al giornalista della Repubblica Fabio Gambaro ha detto: «Naturalmente non ho nulla contro la finzione in senso stretto e un giorno potrei perfino tornare a scrivere una storia del tutto inventata. Per adesso però preferisco muovermi sul vasto terreno delle storie vere»35. Tuttavia non è affatto secondario il punto di vista del protagonista Limonov il quale, in un’intervista rilasciata a Nicola Lombardozzi per il venerdì di Repubblica a seguito dell’uscita del libro di Carrère, ammette: «Certo che diventare un mito dà un certo piacere. Ma un libro è un libro. C’è del vero e c’è del falso. Lasciamo perdere i dettagli»36. È lo stesso protagonista, quindi, a scindere l’uomo Savenko dal protagonista di Limonov, pur ammettendo che quest’ultimo gli è tornato sicuramente utile per farsi conoscere ancora di più e trasformare la sua immagine da piccolo poster a grande affresco («mi ha reso famoso. Va bene così»37). E dunque il dubbio su chi tra Limonov, il campione dell’azione indisciplinata, una canaglia che potrebbe mentire anche questa volta, e Carrère, il campione della conoscenza educata all’osservazione diffidente del mondo e votato all’onestà intellettuale, sia il principale autore di questo successo non ci abbandona del tutto. In questa lunga descrizione di un personaggio reale dettata dalla curiosità del giornalista, Carrère, con la sua vocazione da romanziere, ha aggiunto un’impronta letteraria allo spigliato stile del cronista introducendo, vogliamo ammetterlo, qua e là pochi ritocchi, quali non ci è dato sapere, che contribuiscono a fare di Limonov un caso letterario e di Eduard Savenko uno spirito libero che con le sue esperienze sociali e morali è capace di suscitare nei lettori ammirazione e al tempo stesso disprezzo.

Ad attrarre, in questo spiazzante libro, è la figura controversa di Limonov così come viene raccontata da Carrère, in quella che è sì la storia di Eduard Savenko, ma non solo. Nell’opera, infatti, non si incontrano soltanto un intrigante oggetto letterario, «che magnetizza ciò che in noi è sordido e regale» (Giuseppe Genna), e un innovativo stile narrativo. Lo stesso Carrère, intervistato da Francesca Borrelli per il manifesto, sostiene che in questa inchiesta narrativa ci sono molte più cose:

C’è un primo livello, in cui, in modo abbastanza lineare, seguo lo svolgersi della vita di Limonov, il puro dato biografico. A questo si sovrappone un secondo piano che riguarda il mio rapporto personale con la sua avventura; e c’è poi un terzo livello che ho seguito via via che il romanzo si sviluppava e che mette al centro la storia della Russia. […] A me pare che l’esempio di Limonov ci dica qualcosa sull’enorme sconvolgimento dei valori che si è verificato a partire dalla fine della guerra fredda prima, e della caduta del comunismo poi. Dopo di allora ci siamo trovati con un sistema di valori uguale in tutto il mondo, quello — per intenderci — che poggia sulla democrazia, sul mercato, sui diritti dell’uomo e così via. Dunque, la vita di Limonov ci dice qualcosa sulla grande confusione nella quale tutti noi ci siamo ritrovati. Ma quel che soprattutto intendevo mettere al centro del romanzo è la tentazione di condurre una vita avventurosa, una esistenza eroica, una tentazione che ci coglie tutti da giovani, ma che quasi sempre abbandoniamo. Limonov invece è rimasto fedele a questo ideale38.

La storia di Eduard Savenko è stata per Carrère come un ipertesto da cui aprire di volta in volta finestre narrative che gli consentissero di raccontare il tempo e i luoghi che hanno reso tale Limonov e di esprimere le proprie opinioni sulle scelte e le idee del suo oggetto letterario. Scrivere di Limonov ha dato a Carrère la possibilità di vedere e raccontare la storia della Russia contemporanea attraverso gli occhi di un personaggio lontano dagli ideali e dai valori occidentali, tanto distante da considerare la democrazia e i diritti umani alla stregua del colonialismo cattolico, cioè un mezzo per fregare i poveri, così da suscitare al tempo stesso inaspettate riflessioni sull’effettività dei valori universali che sembrano non essere universalmente condivisi. Tra queste pagine, infatti, se l’interesse maggiore deriva non solo da ciò che è successo all’avventuriero Limonov ma dal contesto storico che si affaccia su passaggi essenziali dall’Unione Sovietica di Chruščëv alla Russia di Putin, la verità narrativa arretra sapientemente di fronte alla verità storica, uscendo dalla biografia per entrare nel saggio, oppure si sospende momentaneamente di fronte a speculazioni immaginative sulla vita o sulle considerazioni dello stesso autore, cedendo il posto a una biografia autobiografica. Per onestà intellettuale verso il lettore — come afferma Carrère («voglio raccontare. Il lettore si deve fidare») —, sono frequenti le prese di posizione rispetto a quello che racconta per la volontà di palesare che ciò che si descrive è sempre una vita guardata con occhi pregiudizievoli da un punto di vista intriso di valori, i quali rendono impossibile la neutralità della scrittura.

È dunque grazie ai diversi livelli di lettura che Limonov è diventato un caso letterario riuscendo a soddisfare e incuriosire lettori con formazione, pretese e gusti diversi. Laddove il Limonov fascista non sarebbe stato apprezzato dalla casta intellettuale con pedigree gauchiste, Limonov è stato letto come un documentatissimo e insolito saggio sulla storia contemporanea della Russia, e chissà se non sia stata una svista a far entrare in certi salotti questo libro in cui il gioco dell’ambiguità fa sì che ideologie fasciste si celino dietro falce e martello; laddove invece non si riesce a non inforcare le lenti del giudizio etico-morale sulla persona Savenko, si sceglie di guardare il personaggio Limonov come l’oggettivarsi delle potenzialità umane, del limite del coraggio, della viltà, delle paure e dell’azzardo, un esempio di vita da non imitare; laddove qualcuno dica di applaudire, ma comodamente seduto, la diversità, l’eccesso e l’anticonformismo, viene letta una sfida a sporcarsi le mani appoggiando una dissidenza niente affatto politically correct.

Se vogliamo rispondere al perché Limonov di Carrère sia diventato un caso letterario, dunque, non possiamo decidere in modo superficiale e arbitrario di dichiarare effimero e secondario l’apporto di uno dei due, tra protagonista e narratore, al successo dell’opera. Il segreto di questo successo è stato l’incontro perfetto tra gli occhi di Carrère, i soli che potevano cogliere così bene questa storia, e la vita di Limonov, insondabile e indescrivibile da occhi e mani inesperte.

Lo stesso Eduard Savenko aveva già scritto di Limonov ma non con gli stessi esiti, la differenza sembra proprio che la facciano quei piccoli ritocchi di Carrère, quei rinvii e quelle parentesi sul mondo o su sé stesso che rendono inqualificabile quest’opera proprio come inqualificabile è il suo protagonista e che l’hanno resa una preda appetibile per Adelphi.

Come ci racconta Ena Marchi, editor della narrativa francese di Adelphi e curatrice di Limonov, nell’intervista che ci ha rilasciato39:


— Come mai avete scelto questo libro, cosa vi ha fatto pensare che potesse essere un successo?

— Non pubblichiamo mai un libro pensando che possa essere un successo: lo pubblichiamo perché pensiamo che sia un buon libro.

— Il libro ha soddisfatto le vostre aspettative o è andato anche oltre?

— Poiché speravamo che i lettori si rendessero conto della qualità del libro, e della qualità dell’autore, possiamo ritenerci più che soddisfatti.

— Come vi spiegate il successo che ha avuto?

— Credo, molto semplicemente, che i lettori abbiano riconosciuto in quella di Carrère una voce autorevole, convincente, forte, capace di raccontare in modo molto efficace un personaggio discusso e discutibile come Limonov; e che abbia quindi funzionato il bouche-à-oreille, il passaparola.

— Nell’Impronta dell’editore Roberto Calasso sostiene che ogni libro è una pagina di un’unica opera che è la collana nella quale viene inserito. Limonov rispetta questo criterio, o un po’ si discosta dai criteri base della collana Fabula? Come mai è stata scelta questa collana?

— Mi sembra che Limonov non si discosti affatto dalla linea della collana: non si tratta infatti di una pura e semplice biografia, bensì di un’operazione squisitamente letteraria, della rielaborazione, della reinterpretazione di una biografia da parte di uno scrittore.

— Avevate pensato già in passato di prendere qualche opera di Carrère, ci sono in programma altre pubblicazioni che lo riguardano?

— Sì, erano anni che aspettavamo l’occasione di pubblicare Carrère, che consideriamo uno dei grandi talenti della sua generazione; e appena si è presentata l’abbiamo colta al volo; e abbiamo in programma altri titoli; in particolare, sta per andare in libreria la nostra edizione dell’Avversario.


Come possiamo definire, quindi, Limonov alla fine del nostro studio? Un romanzo, un racconto, un saggio, un viaggio, una biografia autobiografica, un reportage, un’inchiesta narrativa su una canaglia, un poeta, un intellettuale, un vagabondo, un rivoluzionario, un ladro, un angelo nero. Tutto ciò che lo ha reso un caso editoriale.


«Oblique Studio», gennaio 2015


Note

1 Emmanuel Carrère, Limonov, Adelphi, Milano, 2012, p. 184, traduzione di Francesco Bergamasco.

2 Traduzione nostra dall’originale francese Emmanuel Carrère, Un roman russe, P.O.L., Paris, 2007, p. 62. Il libro è uscito in Italia nella traduzione di Margherita Botto: Id., La vita come un romanzo russo, Einaudi, Torino, 2009.

3 Emmanuel Carrère, Limonov, op. cit., pp 81-82.

4 Hélène Carrère d’Encausse, L’Empire éclaté, Flammarion, Paris, 1978.

5 Emmanuel Carrère, Limonov, op. cit., p. 166.

6 Cfr Marina Valensise, «Il teppista cocco di mamma», Il Foglio, 3 novembre 2012.

7 Emmanuel Carrère, Limonov, op. cit., pp 18-19.

8 Emmanuel Carrère, Limonov, op. cit., p. 20.

9 Emmanuel Carrère, Limonov, op. cit., p. 22.

10 Emmanuel Carrère, Limonov, op. cit., p. 25.

11 Emmanuel Carrère, Limonov, op. cit., p. 28.

12 Cfr Emmanuel Carrère, Limonov, op. cit. p. 29; Marco Missiroli, «Carrère: i demoni nella Russia di Putin», Corriere della Sera, 22 settembre 2012; Michele De Mieri, «Vladimir, io ti ammazzerò», Il Sole 24 Ore, 23 settembre 2012; Benedetta Marietti, «Una vita che parla di Russia», D della Repubblica, 29 settembre 2012.

13 Emmanuel Carrère, Limonov, op. cit., p. 353.

14 Emmanuel Carrère, Limonov, op. cit., p. 160.

15 Emmanuel Carrère, Werner Herzog, Ediling, Paris, 1982.

16 Emmanuel Carrère, Limonov, op. cit., p. 167.

17 Edizione francese: Emmanuel Carrère, Je suis vivant et vous êtes morts, Éditions du Seuil, Paris, 1993. Da essa è tratta l’edizione italiana: Id., Io sono vivo, voi siete morti. Philip Dick, 1928-1982: una biografia, traduzione di Stefania Papetti, Theoria, Roma, 1995. Cfr Elena Stancanelli, «Emmanuel Carrère. Da Dick alla Russia, uso storie vere prendendomi cura della vita deglia altri», la Repubblica, 13 giugno 2012; Marco Missiroli, «La tua vita è il mio romanzo», La Lettura del Corriere della Sera, 18 novembre 2012.

18 Prima edizione francese: Emmanuel Carrère, La moustache, P.O.L., 1986. Da essa è tratta la traduzione italiana di Graziella Civiletti, pubblicata con il titolo Baffi da Bompiani nel 1990, poi da Theoria nel 1997 e ancora da Bompiani nel 2000. Una seconda edizione francese è uscita nel 2005, sempre per i tipi P.O.L.

19 Edizione francese: Emmanuel Carrère, L’Adversaire, P.O.L., 2000, da cui l’edizione italiana: Id., L’avversario, traduzione di Eliana Vicari Fabris, Einaudi, Torino, 2000. Cfr anche Elena Stancanelli, «Emmanuel Carrère. Da Dick alla Russia, uso storie vere prendendomi cura della vita degli altri», la Repubblica, 13 giugno 2012; Francesca Borrelli, «Militante sul fronte del male. Un’intervista con Emmanuel Carrère», Alias del manifesto, 7 ottobre 2012; Marco Missiroli, «La tua vita è il mio romanzo», art. cit.

20 Edizione francese: Emmanuele Carrère, D’autres vies que la mienne, P.O.L., Paris, 2009. Edizione italiana: Id., Vite che non sono la mia, traduzione di Maurizia Balmelli, Einaudi, Torino, 2011. Cfr anche Francesca Borrelli, «Militante sul fronte del male», art. cit.

21 Cfr Marco Missiroli, «Vita romanzata di un barbaro», Corriere della Sera, 24 settembre 2011; Id., «Carrère: i demoni nella Russia di Putin», Corriere della Sera, 22 settembre 2012; Francesca Borrelli, «Tra me e Limonov l’allegro con brio di una strana forma di empatia», Alias del manifesto, 7 ottobre 2012; Marco Missiroli, «La tua vita è il mio romanzo», art. cit.

22 Cfr Bernardo Valli, «Benvenuti nel vero romanzo. Limonov, l’eroe-canaglia riscritto da Carrère», la Repubblica, 27 settembre 2012.

23 Cfr Francesco Musolino, «Limonov, che razza d’uomo!», Gazzetta del Sud, 23 gennaio 2013; Fabio Gambaro, «Carrère. Ma non volevo si trasformasse in mito», la Repubblica, 27 gennaio 2013.

24 Cfr Nicola Lombardozzi, «Limonov. E ora fatemi un film», La Domenica di Repubblica, 27 gennaio 2013.

25 Ibidem.

26 Ibidem.

27 Ibidem.

28 Ibidem.

29 Ibidem.

30 Ibidem.

31 Ibidem.

32 Ibidem.

33 Marco Missiroli, «Vita romanzata di un barbaro», art. cit.

34 Marco Missiroli, «La tua vita è il mio romanzo», art. cit.

35 Fabio Gambaro, «Storie in prima persona», la Repubblica, 4 settembre 2013.

36 Nicola Lombardozzi, «Eduard Limonov. Io, l’intellettuale bolscevico che odia Putin e Gorbaciov», il venerdì di Repubblica, 2 novembre 2012.

37 Ibidem.

38 Francesca Borrelli, «Militante sul fronte del male. Un’intervista con Emmanuel Carrère», art. cit.

39 Intervista a Ena Marchi dell’aprile 2013.

Eduard Limonow

Original:

a cura di Stefano De Luca, Alan Di Forte e Chiara Palmisciano

Limonov. Analisi di un caso editoriale

// «Oblique Studio» (it),
gennaio 2015